"Ma quale Unità d'Italia?"Sono in corso i festeggiamenti per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. A dire il vero stampa e TV non mi pare stiano dando quel doveroso servizio informativo in merito. La mia personale opinione è che grazie alla crescente spinta secessionista delle regioni del nord del nostro paese, visti anche gli ultimi risultati elettorali, lo stesso governo centrale pare abbia scelto una linea di basso profilo nell’enfatizzare una ricorrenza, che in altri stati, avrebbe fatto emergere quel sentimento se non proprio nazionalista, almeno quello dell’orgoglio patrio. In questa nostra benedetta Italia questi sentimenti pare siano stati depositati e forse dimenticati nel deposito bagagli di una sperduta stazioncina ferroviaria di provincia. D
Un piccolo ma significativo esempio di quanto anzidetto è rappresentato dalla grande crescita delle prese di posizione nei confronti dell’eroismo di Garibaldi, che solo di recente, in questi ultimi decenni, è divenuto oggetto di aspre polemiche tra esponenti di vari orientamenti politici. Elementi che sino a qualche anno fa nessuno si sarebbe sognato di porre in discussione. La stessa storiografia classica consolidata lo indica come uno dei padri fondatori della Patria, un combattente per la libertà dei popoli, schivo e disinteressato ad onori e denari. Adesso è caparbiamente odiato sia dai nostalgici del regime borbonico e del Regno delle Due Sicilie, sia dai secessionisti e federalisti del Nord, ai quali secondo me, un piccolo ripasso di storia non guasterebbe. I nostalgici borbonici ritengono l’eroe dei due mondi, il generale responsabile di aver fatto cadere un regno, che per quanto non privo di problemi ed imperfezioni, sapeva garantire un certo controllo delle attività malavitose che caratterizzano ancor oggi le regioni del Sud, non dimenticando di citare, con giustificato orgoglio meridionale, dello sviluppo economico che proprio in questo vituperato Sud pare sia stato alquanto florido in quegli anni .
Per gli esponenti secessionisti federalisti, invece, Garibaldi fu una vera “disgrazia” in quanto unì la parte più industriosa ed evoluta, che a lor parere era il nord, a quella del Sud, che altro non era che una palla al piede per il progresso delle regioni del nord.
Si evidenzia così una spaccatura nel paese, che con il passare del tempo sta assumendo proporzioni inaccettabili, soprattutto per la scarsa attenzione riposta al degrado derivante da una coesione sociale sempre più fragile. Ritengo che la politica, anche in questo caso, non ha saputo assumersi le proprie responsabilità, proprio perché qualunquista, opportunista e priva di seri ideali, diversi da quelli di tirare acqua per il proprio mulino a dispregio ed indifferenza dell’unione nazionale. In questi giorni, e mi scuso se sembrerò irriverente, ascoltando il Presidente della Repubblica, parlare di Unità d’Italia, mi è ha dato l’impressione di ascoltare una voce stonata, fuori dal coro, passata se non inosservata, quanto meno ascoltata con superficiale attenzione. Sicuramente condividiamo l’amarezza e la delusione storica e politica dei tempi che stiamo vivendo, però un piccolo sfogo, ci deve essere consentito. Gentile Presidente, quando un esponente di governo fa affermazioni che feriscono profondamente l’italianità dei suoi cittadini, quando altri cittadini, anch’essi italiani che hanno giurato sulla Costituzione Italiana (sino a prova contraria) usano comportamenti e dichiarazioni di spregio verso altre genti, comunque e sempre Italiani (noti la I maiuscola), io avrei desiderato sentir tuonare la sua voce, indicare e condannare con fermezza questi inqualificabili atteggiamenti, non per punire questi che potremmo definire “simpatici cialtroni ignoranti” quanto per riconoscere e rinsaldare quella necessaria credibilità di appartenenza ad una tradizione culturale, sociale ed umana di tutti gli italiani che ancora, malgrado la presenza di idee di secessione, si riconoscono e si identificano nel tricolore e nell’inno di Mameli.
E’ veramente avvilente pensare che 150’anni fa vi era una “Giovani Italia” e che oggi, nonostante sia passato un secolo e mezzo non sia ancora matura, anzi le condizioni sono tali da definirla una “Povera Italia”.
Pompeo Maritati