In genere, a rappresentare la morte e la resurrezione di Gesù erano due cantori, che si scambiavano le strofe, una a testa. Ma tutto l’impianto della cantata, con forti connotazioni teatrali nella mimica e nella gestualità, si caricava di un profondo valore simbolico, venendo a rappresentare il passaggio dalla morte alla vita, con il significativo riferimento conclusivo alla figura del “risorto” Lazzaro.

Narrando le pene subite da Cristo nella morte e il dolore straziante della madre che cerca il figlio, la Passione si rivela come la più alta espressione di un misticismo popolare che intende evidenziare il bisogno di comunicare con la Divinità e di coglierne la profonda essenza, al di sotto delle apparenti forme umane del Cristo. La cantica in griko originariamente si componeva di 66 strofe, le ultime delle quali consistevano in una richiesta di ricompensa da parte dei cantori, che, una volta ottenutala, si spostavano in un altro crocicchio o paese per riproporre la stessa rappresentazione.

Quella a cui si assiste nella Chiesa del Sacro Cuore è la versione composta da 44 strofe, che viene proposta dai depositari dell’autentica tradizione di questo canto religioso. Si tratta dei cantori più anziani della Grecìa Salentina, Antimo Pellegrino e Tommaso Lifonso, entrambi di Zollino. Eredi indiscussi e magistrali interpreti della tradizione mimico-gestuale degli “Stompi”, ossia delle antiche scuole grike dove si insegnava non solo il testo della Passione, ma anche la gestualità e la mimica, Antimo Pellegrino e Tommaso Lifonso, entrambi di famiglia grecofona, rappresentano nel panorama culturale della Grecìa Salentina l’espressione più alta dell’identità grika nei Canti di Passione.