Da oramai due giorni il baraccone delle elezioni amministrative si è momentaneamente dato una tregua. Attendiamo adesso, con trepidazione, l’esito dei ballottaggi. Una tornata elettorale che ha avuto finalmente l’ardire se non di disarcionare il grande condottiero, che da oltre 16 anni imperversa sul nostro Paese, quanto meno di fargli trascorrere qualche giorno di seria preoccupazione per la sua leadership. Mi piace definirlo Condottiero, in quanto tutto gli si potrà dire, ma non si potrà negargli la capacità di saper ben condurre la sua armata. E’ anche vero e di questo non possiamo dimenticarcene, che il suo strapotere è determinato dal continuo consolidamento del suo potere finanziario. Ed è quello che oggi fa più paura di tutto. Non la sua indomita grinta, ma l’aver le mani in pasta in tutti i settori strategici dell’economia di questo paese, è quello che preoccupa. E che dire del suo entourage, costruitosi intorno in questi anni distribuendo cariche ed incarichi ai suoi fedelissimi, rafforzando e consolidando la sua egemone rete di poteri oltre che di interessi. E’ impensabile oggi poter agire in un qualsiasi settore produttivo del nostro paese e non entrare in conflitto con i suoi interessi. Lo stesso succede anche a lui in qualità di Presidente del Consiglio, dove è raro che possa legiferare senza entrare in conflitto con qualche suo personale interesse. E’ un manager politico che ha avuto, ed ha ancora l’ago della bilancia della politica italiana. Una situazione paradossale, dove sia la vittoria che la sconfitta elettorale è dovuta solo a lui.
Io penso che la sua grande fortuna è coincisa in particolare con la presenza di una sinistra che a volerla definire o qualificare, per darle una precisa connotazione, dovremmo usare delle scurrilità. Pertanto ci risparmiamo questo ingrato quanto mortificante compito e diciamo che trattasi di una sinistra becera, litigiosa, inconcludente, vecchia, asfittica, priva di un serio e concreto programma di rivitalizzazione e soprattutto di rigenerazione della classe dirigente. Una accozzaglia di pachidermi che l’elettorato di sinistra non digerisce più, al punto che i suoi candidati , quelli che raramente riescono ad ottenere un successo sono di estrazione diversa dal partito democratico. Capisco che fare un passo indietro non è facile ma perseverare nella cocciuta insistenza di voler comunque e sempre essere presente, altro non ha fatto in questi ultimi anni che far arretrare i risultati elettorali.
Oggi qualcosa sembra essersi mossa, nell’ambito delle elezioni amministrative, i segnali sono di controtendenza. Un nuovo vento pare spiri dal nord, come ha avuto modo di dire Bersani. Sono felice per lui, ma non sono d’accordo, soprattutto quando dice “Loro hanno perso in quanto abbiamo vinto noi.” E’ chiaro che in presenza di qualcuno che perde, c’è sempre qualcuno che vince. Però sarà altrettanto interessante analizzare e radiografare le motivazioni e le cause dell’insuccesso del Condottiero. Cari amici del partito democratico siete veramente certi che avete vinto voi? Non sarebbe giusto dire che voi nulla avete fatto per vincere e che se ciò è avvenuto lo dovete alla grande e straordinaria capacità mediatica di qualcuno di sapersi fare male da solo? Lasciatemi passare l’idea che per una volta tanto l’armata mediatica del più grande mediatore di opinioni d’Italia ha fallito. Sicuramente per effetto della sensazione di onnipotenza avuta di se stesso, lasciandosi andare in una campagna elettorale impregnata di attacchi che la gente ha cominciato a rispedire al mittente, forse perché stanca e nauseata della stessa tiritera. Qualcuno, o meglio un po’ di gente, già parla dell’inizio della fine del berlusconismo. Non ho molti elementi per dar torto a costoro. Il mio buon senso e l’esperienza del passato m’induce ad essere molto prudente. Che questa fase sia auspicabile per il bene generale del paese non ci piove, ma che sia in atto una irreversibile controtendenza ho dei dubbi, e per certi versi nutro anche dei timori. La sua coalizione politica, non me ne vogliano i forzisti, a me sembrano legati più da aspetti diversi da quelli ideologici o politici, e pertanto più reattivi e forse anche più difficili da sradicare. Soggetti che non so quanto abbiano a cuore la reale situazione del paese e non invece applicare il motto “muoia Sansone con tutti i filistei.” Il tutto ovviamente reso ancora più possibile sempre per l’accennata inconcludenza e scarsa credibilità che la sinistra, con particolare riferimento al partito democratico gode oggi. Debolezza che quanto più realmente concreta tanto più determinerebbe uno stato di confusione e di disaggregazione politica e soprattutto sociale con evidenti risvolti negativi per tutta la collettività. Sta di fatto che il Paese non sta vivendo un periodo roseo e lo scenario politico che ha davanti è altrettanto preoccupante proprio per la grande capacità che la classe politica ha avuto in questi ultimi vent’anni di non sapersi rigenerare, o meglio di saper produrre una seria e valida classe dirigente. I valori della competenza, della professionalità sono diventati dei meri optional, non più significativi e determinanti per fare carriera. Oggi basta essere legati al carro dei vincitori, non importa se per motivi di capacità intellettuale, la carriera è assicurata. Un andazzo che ha prodotto una struttura politica e dirigenziale dello stato probabilmente di scarso valore, generando così problemi sul corretto funzionamento della cosa pubblica. Non che il settore privato, mi riferisco alla Confindustria , le cose vadano meglio. Un apparato produttivo che ha perso la sua capacità competitiva e non certo per la carente politica industriale. Ci hanno soltanto narcotizzato il cervello con l’alto costo della mano d’opera, quando stati d’Europa procedono a gambe levate verso una crescita straordinaria pur in presenza di un costo della mano d’opera di gran lunga superiore alla nostra. Quindi amici industriali, penso che sia ora che rivediate qualcosa nei vostri sistemi produttivi e soprattutto creativi. Il periodo delle vacche grasse è terminato, il mercato è diventato estremamente competitivo e solo la ristrutturazione e la riconversione aziendale avrebbe potuto sollevare le sorti dell’industria italiana, cosa che, mentre negli altri stati d’Europa è iniziata oltre vent’anni fa, qui da noi non è mai partita. Smettiamola con la solita solfa anch’essa destinata a fare la fine delle elezioni amministrative di Milano che la colpa è dei sindacati e dell’alto costo del lavoro. Se nemmeno l’esasperato sfruttamento del precariato, unica forma vivente di contratto di lavoro, non è riuscita a farvi decollare vorrà significare che i problemi sono di natura strutturale interna alle vostre aziende.
Completato il quadro politico ed economico di questo delicato momento storico del nostro Paese, ci riesce difficile sperare che a breve qualcosa possa veramente cambiare.