L’Italia tra Clientelismo e Degrado Etico: Un’Analisi della Deriva della Politica
di Pompeo Maritati
Il degrado etico e culturale della politica italiana è diventato un fenomeno sempre più evidente negli ultimi decenni, con le governance che sembrano aver perso di vista il loro ruolo fondamentale: servire il bene comune. Invece di operare per il progresso del Paese e per il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini, molti politici si sono concentrati principalmente sul rafforzamento e la tutela del proprio potere. Questo ha portato a un’espansione del clientelismo e del familismo, che oggi abbondano in modo spudorato nella gestione della cosa pubblica.
Nella politica italiana contemporanea, le nomine pubbliche e gli incarichi privati vengono assegnati non in base a competenze, professionalità o serietà, ma in base all’appartenenza a specifici gruppi di potere, comunemente definiti come “cerchi magici”. Questi gruppi, formati da persone legate da interessi comuni e spesso da vincoli personali, sono diventati i veri centri decisionali. Chi appartiene a questi cerchi gode di privilegi e protezioni, indipendentemente dalle proprie capacità o dal proprio merito. È diventato irrilevante possedere le competenze necessarie per ricoprire incarichi di responsabilità; ciò che conta è l’appartenenza a questi circoli esclusivi.
Questa riflessione non è rivolta unicamente all’attuale governo, che sembra impegnarsi nel non cercare di riportare un certo rigore etico nella gestione della cosa pubblica. Tuttavia, è doveroso sottolineare che questa degenerazione non è esclusiva di una singola parte politica. Anzi, se si guarda ai governi di colore avverso, spesso appartenenti alla sinistra, si può constatare che, in alcuni casi, essi hanno agito in modo anche peggiore rispetto ai governi di destra. Paradossalmente, proprio durante i mandati di governi di sinistra, che storicamente avrebbero dovuto difendere i diritti dei lavoratori e promuovere l’uguaglianza sociale, sono state adottate politiche che hanno avuto effetti devastanti su molti diritti acquisiti.
È con questi governi che molti diritti dei lavoratori sono stati erosi e che si è assistito alla proliferazione di contratti di lavoro atipici, che hanno generato una società di lavoratori precari, sottopagati e sfruttati. La riforma del mercato del lavoro, presentata come necessaria per rendere l’Italia più competitiva, ha in realtà frammentato il mercato stesso, aumentando l’insicurezza lavorativa e creando un’intera generazione di precari. Questo processo perverso è iniziato proprio sotto governi di sinistra, che avrebbero dovuto rappresentare un baluardo contro queste derive, ma che invece hanno contribuito a consolidarle.
Chi osserva con attenzione la storia politica recente dell’Italia potrebbe rimanere sorpreso nel constatare che molte delle riforme che hanno portato al degrado del mercato del lavoro e alla perdita di diritti sono state avviate da governi che avrebbero dovuto tutelare gli interessi dei lavoratori. L’introduzione di contratti a termine senza causale, per esempio, ha reso il lavoro sempre più incerto e precario, minando la stabilità economica e sociale di milioni di persone.
Il problema principale è che la politica italiana sembra aver dimenticato il suo scopo primario: servire il popolo e garantire il benessere collettivo. Al contrario, il focus si è spostato sulla protezione di interessi personali e di gruppo, portando a un distacco sempre maggiore tra le istituzioni e la cittadinanza. Questo scollamento è particolarmente evidente nelle politiche del lavoro, ma si estende anche ad altri ambiti della vita pubblica, dove l’etica e la trasparenza sono spesso sacrificate in nome del compromesso politico e dell’opportunismo.
Il risultato è un sistema politico in cui il merito e le competenze sono sempre più marginalizzati, mentre l’appartenenza a determinati gruppi di potere diventa l’unico criterio per accedere a incarichi di responsabilità. Questo ha creato un circolo vizioso in cui la politica non è più vista come una vocazione, ma come un mezzo per ottenere privilegi personali. La conseguenza è un degrado morale che colpisce non solo la classe politica, ma l’intero tessuto sociale del Paese.
L’erosione dei valori democratici e dell’etica pubblica ha avuto un impatto devastante sulla fiducia dei cittadini nelle istituzioni. La crescente disaffezione verso la politica, evidenziata dall’aumento dell’astensione elettorale e dal diffuso sentimento di sfiducia, è il sintomo di una crisi profonda che minaccia la tenuta stessa della democrazia italiana. Se le istituzioni perdono la fiducia del popolo, diventa difficile mantenere la coesione sociale e promuovere il progresso.
Per uscire da questa spirale negativa, è necessario un cambiamento radicale nella cultura politica del Paese. La politica deve tornare a essere un servizio pubblico, basato su principi di trasparenza, merito e responsabilità. I cittadini devono poter contare su una classe dirigente competente, capace di affrontare le sfide del presente e del futuro con serietà e dedizione. Solo così sarà possibile ricostruire la fiducia nelle istituzioni e ridare alla politica il ruolo che le spetta nella costruzione di una società più giusta ed equa.
In conclusione, il degrado etico e culturale della politica italiana è un problema che ha radici profonde e che richiede un impegno collettivo per essere affrontato. Non basta denunciare il clientelismo e il familismo: è necessario agire per ripristinare quei valori che dovrebbero essere alla base di ogni democrazia. La politica deve tornare a essere uno strumento di giustizia sociale, capace di promuovere il bene comune e di garantire opportunità e diritti a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza a un cerchio di potere o dall’influenza che possono esercitare. Al momento, tutto quanto anzidetto, appartiene al mondo dell’Utopia.