Corruzione
Il mio Pensiero Libero

Quando l’Illegalità Diventa Spettacolo: La Deriva Etica della Televisione Italiana

Pompeo Maritati

L’invito di soggetti condannati per reati contro lo Stato nelle programmazioni televisive a carattere nazionale, soprattutto quando sono chiamati a esprimersi su questioni economiche e sociali di rilevanza pubblica, solleva interrogativi etici di notevole importanza. Non si tratta di semplici figure controverse per le loro opinioni politiche, ma di persone che hanno infranto la legge, che hanno abusato della fiducia dei cittadini e che sono state giudicate colpevoli di aver sottratto risorse allo Stato attraverso truffe, concussioni, evasione fiscale e altre forme di illecito.

L’apparente paradosso che si viene a creare quando queste stesse persone sono invitate a intervenire come esperti o opinionisti su temi che riguardano la gestione della cosa pubblica e l’economia del paese non può essere ignorato, poiché trasmette un messaggio che rischia di compromettere profondamente il senso di giustizia e di legalità su cui si dovrebbe fondare la convivenza civile. Il primo aspetto da considerare è l’effetto di legittimazione che questi inviti comportano. Invitare in televisione chi è stato condannato per reati gravi contro lo Stato, attribuendogli lo status di esperto, equivale a conferire una sorta di legittimità morale alle sue azioni passate, come se la sua condanna non avesse alcun peso nel giudizio sulla sua idoneità a discutere di questioni di interesse collettivo. Questo non solo sminuisce la gravità dei reati commessi, ma invia un messaggio fuorviante al pubblico, suggerendo che il comportamento criminale, anche quando si tratta di crimini contro la comunità intera, non è incompatibile con il mantenimento di una posizione di rilievo nello spazio pubblico. Il rischio è quello di favorire una cultura dell’impunità, in cui le conseguenze legali delle proprie azioni sono viste come semplici ostacoli temporanei, facilmente superabili una volta che l’attenzione mediatica si è spostata altrove.

Questo fenomeno alimenta un cinismo diffuso nei confronti delle istituzioni e della giustizia, alimentando l’idea che le leggi esistano più per essere aggirate che per essere rispettate. Un altro elemento di riflessione è l’impatto che queste scelte televisive hanno sul concetto di meritocrazia. In una società che aspira a premiare il merito e la competenza, la presenza in televisione di persone condannate per reati economici contro lo Stato introduce una pericolosa confusione tra chi ha realmente qualcosa da dire in virtù della propria esperienza e competenza e chi, invece, sfrutta la propria notorietà, anche se negativa, per mantenere una presenza pubblica. Questo è particolarmente deleterio per le giovani generazioni, che potrebbero percepire queste figure come modelli di successo, indipendentemente dalla loro condotta morale e legale. In un’epoca in cui l’immagine pubblica e la visibilità mediatica sono spesso erroneamente considerate sinonimi di autorevolezza e rispetto, l’idea che una condanna penale non costituisca un ostacolo al mantenimento della propria fama può avere effetti devastanti sulla percezione che i giovani hanno del rapporto tra legalità e successo. Inoltre, l’idea che chi ha rubato allo Stato possa esprimere opinioni autorevoli su questioni economiche e sociali rischia di distorcere la percezione del valore della legalità. La legalità, infatti, non è solo una questione di rispetto formale delle leggi, ma rappresenta un principio fondamentale su cui si basa la fiducia reciproca tra cittadini e istituzioni.

Quando questa fiducia viene tradita da chi ha abusato della propria posizione o ha approfittato del sistema per arricchirsi illegalmente, dovrebbe esserci una sanzione non solo penale, ma anche sociale. L’invito di tali soggetti a partecipare a dibattiti pubblici in televisione, invece, sembra indicare che il superamento di una condanna penale possa non solo riabilitare un individuo agli occhi dell’opinione pubblica, ma addirittura conferire una sorta di immunità morale, come se il crimine fosse solo una tappa, per quanto spiacevole, di un percorso che alla fine viene comunque premiato con la notorietà e l’influenza. Questa dinamica ha effetti profondamente corrosivi sulla cultura della legalità, alimentando un senso di impunità che mina le fondamenta stesse della convivenza civile. Inoltre, bisogna considerare l’effetto che queste scelte editoriali hanno sulla fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nella giustizia.

Quando chi ha infranto la legge e danneggiato lo Stato è invitato a parlare in televisione come se fosse un esperto, si crea una dissonanza cognitiva che può portare i cittadini a mettere in discussione la reale efficacia del sistema giudiziario e la reale volontà delle istituzioni di perseguire il bene comune. Questo fenomeno rischia di alimentare un clima di sfiducia generalizzata, in cui le istituzioni non sono più viste come garanti della giustizia e del rispetto delle regole, ma come attori in un gioco di potere in cui chiunque, con sufficiente carisma o notorietà, può sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni. La televisione, in quanto potente mezzo di comunicazione e formazione dell’opinione pubblica, ha una responsabilità enorme nel modellare le percezioni e i valori della società. Quando decide di dare voce a chi ha tradito la fiducia pubblica, deve essere consapevole delle implicazioni di tale scelta e del messaggio che sta trasmettendo. Non si tratta solo di dare spazio a tutte le opinioni o di offrire una piattaforma a tutti, ma di considerare il ruolo educativo che la televisione inevitabilmente svolge. Offrire una tribuna a chi è stato condannato per reati contro lo Stato senza un’adeguata contestualizzazione e senza un chiaro richiamo alle conseguenze delle sue azioni equivale a legittimare implicitamente quel comportamento, presentandolo come una delle tante opzioni possibili nella ricerca del successo. Questa dinamica è particolarmente pericolosa in un contesto mediatico in cui la notorietà, indipendentemente dalle sue cause, è spesso considerata un valore in sé. La spettacolarizzazione della criminalità e l’invito a discutere di temi pubblici da parte di chi ha infranto la legge non solo sviliscono il concetto di giustizia, ma contribuiscono a creare una cultura in cui la trasgressione è tollerata, se non addirittura ammirata, purché porti visibilità e attenzione.

Questo è un messaggio estremamente dannoso per la società nel suo complesso, poiché erode i principi di responsabilità individuale e rispetto delle regole su cui si basa una convivenza pacifica e giusta. Inoltre, va considerato l’effetto di emulazione che queste scelte televisive possono avere. I giovani, in particolare, sono fortemente influenzati dai modelli che vedono rappresentati nei media. Se la televisione offre come modello di successo persone che hanno commesso reati gravi contro lo Stato, si rischia di trasmettere l’idea che il rispetto delle regole sia opzionale e che il crimine, se accompagnato dalla giusta dose di astuzia o fortuna, possa essere una via legittima per raggiungere il successo e la notorietà. Questo è un messaggio che contraddice i principi fondamentali dell’educazione civica e della formazione etica, mettendo a rischio la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni. In conclusione, l’invito di persone condannate per reati contro lo Stato a partecipare a programmi televisivi nazionali solleva gravi questioni etiche che non possono essere ignorate. Il messaggio che queste scelte editoriali trasmettono è profondamente problematico, poiché rischia di legittimare comportamenti criminali, di alimentare una cultura dell’impunità e di minare la fiducia nelle istituzioni e nella giustizia. La televisione, in quanto strumento di informazione e formazione dell’opinione pubblica, ha la responsabilità di promuovere una cultura della legalità e del rispetto delle regole, resistendo alla tentazione di cedere alla logica dello spettacolo e della notorietà a ogni costo. Solo in questo modo sarà possibile costruire una società in cui il successo non è sinonimo di astuzia criminale, ma di impegno, merito e rispetto delle regole. Se la televisione non assume questa responsabilità, rischiamo di perdere di vista i valori fondamentali su cui si basa la nostra convivenza civile e di trasmettere alle future generazioni un messaggio profondamente distorto su ciò che significa essere cittadini responsabili e rispettosi della legge.