Religione

LA CONFESSIONE DI RATZINGER Un grande Uomo a cui la Chiesa dovrà il suo futuro

Papa-Benedetto-Stemma-1“Ratzinger: "Troppo stanco, così ho lasciato il ministero petrino” Trattandosi di una confessione fatta, peraltro da un Papa, potrebbe risultare blasfemo dubitarla? Conoscendo la sua maestosa figura di grande uomo di cultura e di Chiesa, proprio in virtù di questo fondato motivo, qualche dubbio mi assale.

E’ di questi giorni la pubblicazione dell’intervista fatta al Papa Emerito (al secolo Joseph Ratzinger) sulle motivazioni che lo hanno indotto a rinunciare al soglio pontificio il 28 febbraio del 2013, dopo esser stato eletto a condurre la Chiesa il 19 aprile 2005, con il nome di Papa Benedetto XVI, succedendo a Giovanni Paolo II. Una intervista che in un certo qual modo ripercorre il pensiero sofferto di Ratzinger espresso già tre anni prima. Ma questa volta c’è qualcosa di diverso. Il concetto sostanzialmente è lo stesso, diversa e protettiva risulta invece la finalità. Secondo me trattasi di una intervista propiziata, cercata, resa necessaria a tre anni dalla sua abdicazione, per   proteggere e rinsaldare i valori universali della Chiesa, facendo ricadere la colpa (se di colpa trattasi) in modo inequivocabile, stando alle sue parole, esclusivamente sulla sua “debolezza” E’ questa sua denunciata “debolezza” che impone a noi una profonda riflessione 

Ratzinger, nel 2013 quando decise di abbandonare il ruolo di Vicario di Cristo[1] sulla terra, rese noto il motivo, adducendo quale motivazione di sentire il peso dell’incarico di pontefice, di aver a lungo meditato su questa decisione e di averla presa per il bene della Chiesa. 

"Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino", disse il Benedetto XVI ai cardinali, nel corso del Concistoro ordinario.

E rivolgendosi a tutti i fedeli asserì: “"Carissimi fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l'amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa chiesa alla cura del suo Sommo pastore, nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri cardinali nell'eleggere il nuovo Sommo pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa chiesa di Dio".

Ottantasei anni, Joseph Ratzinger era stato eletto alla guida della Chiesa di Roma il 19 aprile 2005, nel secondo giorno del conclave, al quarto scrutinio, dopo la morte di Giovanni Paolo II. Settimo pontefice tedesco, l'ultimo, prima di lui, era stato Stefano IX (1057-1058).

Ho voluto riportare le sue affermazioni attinenti la straordinaria, quanto intelligente decisione di dimettersi, affinché possa meglio essere approfondito il suo pensiero, dimostrando, in riferimento alla mia personale opinione, che forse ci troviamo di fronte ad alcune affermazioni proferite da un Papa, manifestate quale confessione, che potrebbero essere “false”. Proprio così.

Una falsa confessione di un uomo qualunque è ritenuta un’azione disonorevole, se poi viene fatta addirittura da un Pontefice, per quanto uomo anche costui, l’azione è mostruosa. Pertanto se io ritengo che l’abdicazione di Benedetto XVI non è stata propiziata dalla sua dichiarata “debolezza” affermo che il Papa Emerito[2] ha detto una “bugia”.

Papa-Benedetto-Stemma-1E se questa mia tesi è giusta, allora perché Ratzinger, il Papa Emerito, dovrebbe aver detto una bugia? E se bugia è stata, viste le finalità, può essere considerata tale?

Dal sito della “Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger Benedetto XVI” leggo quanto segue sulla sua figura: “oggi, la potenza delle sue parole è forte. Il suo ritiro monastico e la sua presenza nell’assenza scenica, una “presenza-assenza”, diventano un fertile campo che fa germogliare e coltiva l’analisi della sua opera, della sua produzione teologica[3] e del suo ministero. La sua lontananza dagli occhi del mondo mette in atto una volontà di comprensione e di riconsiderazione del suo pensiero e della sua stessa figura.”

Mi colpisce l’ultimo capoverso, quasi fosse una affermazione in codice, destinata forse, a chi è necessario che inizi a capire.  La riconsiderazione del suo pensiero e della sua figura dovrebbe far tutti riflettere sulla sua rinuncia? Io penso di si.

Papa Francesco riferendosi alla ricchezza del patrimonio spirituale del Papa Emerito, nel suo primo discorso tenuto al Collegio Cardinalizio, il 15 marzo del 2013, disse: “In questi anni di Pontificato, Benedetto XVI, ha arricchito e rinvigorito la Chiesa con il Suo magistero, la Sua bontà, la Sua guida, la Sua fede, la Sua umiltà e la Sua mitezza. Rimarranno un patrimonio spirituale per tutti! Il ministero petrino, vissuto con totale dedizione, ha avuto in Lui un interprete sapiente e umile, con lo sguardo sempre fisso a Cristo, Cristo risorto, presente e vivo nell’Eucaristia, sentiamo che Benedetto XVI ha acceso nel profondo dei nostri cuori una fiamma: essa continuerà ad ardere perché sarà alimentata dalla Sua preghiera, che sosterrà ancora la Chiesa nel suo cammino spirituale e missionario”.

Oggi, il pensiero e le parole del Papa Emerito trovano una forza nuova, ascoltate e riflettute dall’intero clero e non solo. Una superba finezza teologica che secondo il mio parere sta minando dalle basi quella parte della Chiesa che in questi ultimi decenni, per certi versi, ha male interpretato o peggio ancora disatteso il vero verbo cristiano. Un vero e proprio nuovo faro di luce, di intelligente, sapiente e raro intelletto. Una mente lucida e sublime che all’apice della sua virtù teologale, consapevole dello stato di “confusione” che caratterizzava la Chiesa di Roma, e non certo per stanchezza, ha deciso di dare una forte spallata al sistema, un sistema che si era allontanato dal solco del verbo cristiano, probabilmente la conseguenza di insidie interne al Vaticano che il suo predecessore non aveva saputo gestire.

Ratzinger conobbe il suo predecessore, Giovanni Paolo II, nel conclave che elesse Papa Giovanni Paolo I (al secolo Albino Luciano, eletto il 28 agosto del 1978 e morto dopo soli 33 giorni di pontificato) diventandone amico e consigliere. Il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, durato bene ventisette anni, sarà oggetto di necessari, seri ed imparziali studi, in quanto le luci del suo operato, a mio parere, sono state offuscate da ingombranti ombre. Asserire che la Chiesa alla sua morte non godesse di ampi spazi di credibilità, penso sia cosa nota. Un pontificato, quello di Woytila, da me percepito verticistico, improntato più sul culto della persona, rilevando, da una parte, una adorazione dell’uomo Papa e dall’altra le Chiese sempre più vuote. Elemento questo definito dal Cardinale Martini[4]popolatria[5]. A lui, a Woytila, dobbiamo la quasi totalità delle nomine cardinalizie e della cosiddetta classe dirigente del Vaticano in essere, probabilmente non sempre all’altezza del loro compito, visto che Papa Francesco ha dovuto, successivamente, chiedere pubblicamente scusa per gli scandali del Vaticano. Basti pensare che nel Conclave dove fu eletto Benedetto XVI, solo due cardinali avevano partecipato ad una precedente elezione e da indiscrezioni, che come tali devono essere valutate, il cardinale Bergoglio, oggi Papa Francesco I, era nei primi scrutini, in pole position.

Di tutto ciò Ratzinger ne era consapevole, ma doveva obbligatoriamente tutelare la cosa più importante: l’istituzione Chiesa. Azioni di forza o dimostrative dalla sua posizione di Pontefice sarebbero state male interpretate ed avrebbero ulteriormente aggravato l’opinione pubblica, senza trascurare che la politicizzazione degli alti vertici clericali avrebbe potuto innescare una turbolenza le cui conseguenze non erano prevedibili.

Ratzinger era consapevole, di un Vaticano oramai allineato su un solco poco aderente al verbo cristiano, che necessitava di un forte scossone dagli effetti di una vera e propria doccia fredda per tutti gli addetti ai lavori ma che nel contempo salvaguardasse, agli occhi ed alle coscienze del mondo, la cosa più importante: l’istituzione Chiesa. Ecco tirare fuori dalle sue straordinarie capacità intellettive, uno stratagemma che sconvolgerà l’intero Vaticano: le sue dimissioni o meglio la sua rinuncia al soglio pontificio. Il diritto canonico, giocando sulle parole, rifiuta l’utilizzo delle dimissioni, o di abdicazione, preferendo a queste la “rinuncia[6] all’ufficio di Pontefice” che sono possibili solo in due casi: o per cattive condizioni di salute, o per inadeguatezza al ruolo di Pontefice.

Prima di Benedetto XVI a rinunciare fu Gregorio XII nel lontano 1415, motivo per cui possiamo asserire, senza ombra di dubbio che l’istituto giuridico della “rinuncia” venga oggi visto come una cosa quasi impraticabile.

E’ interessante ricordare che (erroneamente) viene ritenuto che nel Conclave riunito per l’elezione del Papa sia lo Spirito Santo ad indicare ai Cardinali la scelta del futuro Pontefice. A tal proposito riporto una interessante risposta che Joseph Ratzinger diede nel 1997 alla domanda postagli da un giornalista sull’azione dello Spirito Santo in Conclave.

È lo Spirito Santo il responsabile dell’elezione del Papa?”  gli fu domandato.

Ratzinger, con la sua solita intelligente ironia, rispose così: «Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo. Direi che lo Spirito Santo non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di Papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto

Ritornando sull’iniziale blasfemia, attinente “la bugia di un Papa”, ho riportato la motivazione espressa da Ratzinger alla sua rinuncia: “che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino".  Un’autoproclamazione di “inadeguatezza al ministero pietrino. Quella che per me e non solo per me, viene ritenuta la maggiore testa pensante della Chiesa del terzo millennio, si cosparge il capo di cenere, chiede scusa, gira le spalle e se ne va.

Per una mia onestà di pensiero, non ho remore nel ricordare che in quei giorni scrissi una nota, certamente non a favore di Ratzinger, dal titolo “Benedetto XVI lascia, chi raddoppia in Vaticano?”  In particolare scrissi:

C’è chi ha definito l’atto dell’attuale papa in carica un gesto di grande coraggio. Non sono assolutamente d’accordo. Il coraggio non si dimostra buttando la spugna, ammesso che siano vere le motivazioni sin qui addotte. Il coraggio si dimostra portando a termine la propria missione a qualsiasi costo, in quanto quella di un Papa, almeno se della fede non ne vogliamo fare un ulteriore prodotto usa e getta, dovrebbe rappresentare Dio sulla terra. Ragazzi, non imitiamo Crozza, fare il Papa non è fare la barba alle pecore merinos.

Inoltre, quasi avessi predetto il futuro della Chiesa, partendo però da una errata valutazione, aggiunsi:

Si è scelto un papa di transizione, che facesse decantare l’euforia del precedente. Ecco che i tempi oggi sono pronti per rimescolare le carte e dare sotto ai giochi di squadra. Il toto-papa è già partito. Guarda caso tra coloro che sono in pole position figurano, Bertone e Bagnasco. La lotta a rivendicare il soglio pontificio a un italiano è già da tempo in atto, solo che le nostre figure, che non siano di età molto aldilà negli anni, si riducono veramente a un manipolo, mentre l’Asia e l’America meridionale vantano nomi che hanno più il sapore della missione pastorale che quella di passare il tempo ad intromettersi in tutti i meandri della politica”.

Dal Conclave del 13 marzo del 2013 viene nominato al soglio pontificio il Cardinale Jorge Mario Bergoglio, l’oramai noto Papa Francesco che in questi tre anni di pontificato è riuscito a dare un vero scossone, ad un clero sclerotizzato ed impantanato a gestire il potere temporale a scapito di quello spirituale.

Alla luce di quanto sin qui detto, mi riesce particolarmente difficile poter credere che Ratzinger abbia rinunciato al soglio pontificio per “inadeguatezza al ruolo petrino”. Trattandosi di un grande uomo, la sua decisione altro non è che una grande genialata, spacciata per rinuncia, nei confronti di tutto il mondo ma violentemente rinfacciata ad un clero inadeguato, che necessitava di un forte scossone. Mi risulta molto difficile poter credere a qualcosa di diverso, proprio per la grande stima che ho nei suoi confronti, ritenendolo probabilmente, non a torto, tra i grandi uomini della Chiesa di questi ultimi due secoli. E se così è, vorrà dire, gioco forza, che se l’allora Papa Benedetto XVI, ci ha detto una bugia, questa sta contribuendo a restituire parte della dignità perduta alla Chiesa di Roma, facendole intraprendere un nuovo cammino, sicuramente difficile e costellato da tante avversità. A lui, solo a lui, finalmente dobbiamo una inversione di tendenza a favore di una maggiore aderenza al verbo cristiano.

Grazie Joseph Ratzinger, grazie Papa Emerito. 

 di Pompeo Maritati

  

 

       [1] L'intitolazione come «Vicario di Cristo» per i papi divenne regolare solo dal XIII secolo, in seguito alle riforme del Papa Innocenzo III che reclamò la prerogativa di nominare i vescovi del Patriarcato Latino. Nell'Annuario Pontificio «Vicario di Gesù Cristo» è il secondo titolo ufficiale. Al primo posto figura quello di Vescovo di Roma, da cui deriva l’autorità stessa del papa ritenendosi prima di tutto successore di Pietro. Gli altri titoli del Pontefice, come riportato dall’Annuario Pontificio nella pagina dedicata al Papa, sono i seguenti: successore del principe degli apostoli, Sommo pontefice della Chiesa universale, Primate d'Italia, Arcivescovo e metropolita della Provincia Romana, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, Servo dei servi di Dio e Capo del Collegio dei Vescovi.

 

 

 

[2] Papa Emerito è il titolo assunto da Papa Benedetto XVI dopo la sua abdicazione. Un titolo che rappresenta una novità senza precedenti nella storia della Chiesa istituito proprio da Ratzinger, all’atto della sua rinuncia al soglio Pontificio. Fatto questo che è stato riconosciuto anche da Papa Francesco nella conferenza stampa tenutasi sull’aereo che lo riportava a Roma dal suo viaggio dalla Corea.

 

 

 

[3] La vastità dell’opera teologica e spirituale di Ratzinger, è oggi rappresentata da ben 102 libri, 98 prima di essere eletto pontefice ed oltre 600 articoli.

 

 

[4]  Il Cardinale Martini (15/02/1927 – 31/08/2012) per le sue affermazioni fu da alcuni definito “l’antipapa” e a questo appellativo lui rispondeva: “non è vero, piuttosto mi considero l’antepapa, uno che scorge i problemi con i quali la Chiesa deve fare i conti e preparo la strada al papa”.

 

 

 

[5] Il Cardinale Martini manifestò apertamente le sue perplessità in merito ad una rapida canonizzazione di Wojtyla. Riteneva che erano necessari molti anni, anzi molti decenni, per poter fare pienamente luce sulla personalità di un pontefice e sull’operato di un pontificato. Il problema, per lui, non riguardava in modo specifico Giovanni Paolo II, ma, in generale, la tendenza a proclamare santi i pontefici. Meglio aspettare, pensava, che la storia faccia il suo corso e che gli studi vengano approfonditi. Una posizione, la sua, caratteristica dell’uomo di studio che non ama assecondare l’impulso delle emozioni e dei “santo subito”, ma preferisce l’approfondimento e la riflessione.

 

 

 

[6] Si tratta di un evento molto raro: oltre a quella di Benedetto XVI (28 febbraio 2013) nella storia della Chiesa vi sono stati pochi altri casi di cessazione per rinuncia; di quelle dei papi: Ponziano (28 settembre 235), Silverio (11 marzo 537), Benedetto (1º maggio 1045), Gregorio VI (20 dicembre 1046), Celestino V (13 dicembre 1294) e Gregorio XII (4 luglio 1415)Per quanto riguarda le rinunce di Clemente I (97) e Giovanni XVIII (giugno 1009) la cronologia cattolica si affida alla tradizione.

 

 

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