Recensione di Maurizio Nocera al libro “Eracle, Ulisse, Achille, e i Mirmidoni. Una storia quasi vera. E se Omero si fosse sbagliato?”
Eracle, Ulisse, Achille, Omero e i Mirmidoni. Una storia quasi vera. E se Omero si fosse sbagliato? (Youcanprint, marzo 2023, pp. 146). Pompeo Maritati, che sappiamo essere quello che è, cioè presidente dell’Associazione per la Scienza, l’Educazione e la Cultura (APSEC) di Lecce, afferma di avere scritto questo libro «Con la collaborazione e il patrocinio degli Dèi dell’Olimpo».
Non c’è che dire: si tratta di un’altissima collaborazione e di un super patrocinio. Nientemeno che gli Dèi dell’Olimpo. Mamma mia! C’è da farsi tremare i polsi. Come avrà fatto l’autore a ottenere così tanta grazia e così tanto ben di Dèi? Sicuramente avrà referenze molto in alto, per di più acquisite forse attraverso due suoi altri lavori favolistici precedenti: Favole del Terzo Millennio e Ho incontrato Giove all’Ipercop.
Questo nuovo libro è una favola. Una bellissima favola, che ci potrebbe permettere, è solo un’ipotesi dell’autore, di «potere dal passato arrivare al futuro» (p. 30). In esso egli riesce, genialmente, a immergersi in un mondo immaginifico, fatto di cieli, nuvole, sospiri e respiri, aneliti di libertà e di fughe da un mondo oggi purtroppo inquietante per le difficoltà “respiratorie” (sta per difficoltà di vita) di ognuno di noi. Per noi, umani lettori, immergerci nella lettura di questa favola greca è come scendere in acque fluide e rinfrescanti la mente e il corpo; corpo ancora martoriato da false notizie, sciocchi politicanti, ingordi economisti, magnati le cui mani sono sporche di sangue e di sudore dei popoli.
Ecco. La favola si snoda in un ambiente molto caro all’autore: Aegina (Grecia). L’amata isola del suo buon ritiro. Isola da lui sognata, cercata, trovata e ritrovata, la cui salubre aria, ogni volta che egli calpesta quel sacro suolo, penetra nei polmoni quasi fosse ossigeno puro al centro per cento. Leggendo il testo si ha la percezione di stare al suo fianco e di vivere le sue stesse emozioni. A partire da quel primo «incontro sconvolgente» che egli fa con Eracle (Aegina, 1204 a. C.) su una panchina nei pressi di uno dei più più famosi templi greci, Aphaia, dedicato alla divinità Athena, ed edificato su una collina nel 480 a. C. Si tratta di una delle più straordinarie architetture doriche dell’antica Grecia, ancora oggi ben conservato. Il favolista Maritati gli dedica un intero capitolo: L’isola di Aegina e il suo Tempio di Aphaia, «la dea invisibile, [il cui tempio fu] costruito intorno al 700 a. C.» (p. 46).
Dopo aver incontrato casualmente il vecchio Eracle, che fa Pompeo Maritati? Dovrebbe avere voglia di non dire nulla, perché, secondo me, che altro poteva fare se non svenire. Incontrare Eracle, anche se in una favola, è come vedere gli Angeli scendere materialmente dal cielo. Oppure, come si dice dalle nostre parti, “vedere gli asini volare”. Non è così per Pompeo Maritati, il quale non perde la coscienza come sarebbe accaduto a qualsiasi altro mortale. No. Egli si mette a conversare con l’uomo seduto al suo fianco, cioè il mitico Eracle. Così comincia la narrazione che coinvolge molti eventi dell’antica Grecia, a partire dal ritorno sull’isola degli Dèi, i quali, bontà sua (cioè del favolista), a detta del vecchio Eracle (sempre innamorato della sua Afroditi, alla quale dedica la poesia Bianca e lucente luna (p. 73) e l’altra Caro Amore mio (p. 90), dice che «Atena, Zeus, Venere, Giunone, Apollo» e tutti gli altri Dèi del loro mitico monte (Olimpo) si erano interessati a lui.
Ecco. La favola si snoda così con gli eventi che riguardano la guerra di Troia. Che grande tragedia fu quella guerra. Praticamente ancora oggi, noi occidentali siamo tuttora pervasi da quanto accadde su quella sponda del Mediterraneo circa 1200 anni prima della venuta su questo mondo di quello straordinario uomo chiamato Cristo.
Maritati, cosa da non credere, in una favola che tratta di un’epoca risalente ad un’età precedente l’era dei Cristiani, riesce a infilarci alcune pagine sul Gesù Cristo. Lo fa descrivendo (pp. 83-85) i dodici Dèi dell’Olimpo: Zeus, Era, Efesto, Atena, Apollo, Artemide, Ares, Afrodite, Estia, Ermes, Demetra e Poseidone. Guarda caso proprio come faranno, dopo qualche millennio, i Cristiani con i dodici Apostoli.
Oggi, grazie al lavoro di molti archeologi, a iniziare dal primo di loro, quell’indimenticabile Heinrich Schliemann (1822-1891), sappiamo molte più cose della mitica città. Ne sappiamo tante che a nessuno di noi verrebbe in mente di aggiungerne altre. Eppure, meraviglia delle meraviglie, Pompeo Maritati è riuscito a inventarsi, sia pure attraverso la metafora favolistica (ma la sua non è un’invenzione gratuita, perché forse le cose stanno come egli scrive) un evento straordinario. Scrive che l’espediente trovato da Ulisse per entrare di nascosto nella città di Priamo, di Ettore e della sua fedele Andromaca, di Enea e di Paride non fu il Cavallo di legno, ricavato dal fasciame delle navi greche, ma un altro manufatto. Scrive: Non fu un cavallo ma una nave a distruggere Troia.
Troia, Atene, l’Argolide con Agamennone e Menelao e la di lui consorte Elena, e poi la stessa isola di Aegina, che diede i natali ad Achille e che «3200 anni fa aveva la più importante flotta di quell’area, e poi anche perché sull’isola c’era un esercito temuto in tutto il Mediterraneo: i Mirmidoni» (p. 47).
Nella narrazione favolistica di Maritati non manca un riferimento a Telemaco, figlio di Ulisse che, andando alla ricerca del padre, mette in discussione alcuni passi relativi alla guerra di Troia della tradizione dell’Iliade omerica.
Ecco. Si tratta di una favola. Appunto. Una bellissima favola, della quale Pompeo Maritati scrive: «cimentarsi a “costruire” una favola, credetemi, non è facile, devi andare alla ricerca di una trama che sia credibile. Una ricerca spasmodica del protagonista da incastonare in una storia che abbia dell’originalità, ma che, soprattutto, per quanto irreale e fantasiosa, riesca a stare in piedi» (p. 135).
Mi chiedo: ma perché Pompeo Maritati è andato a scrivere una favola così complessa e difficile? Lo scrive lui stesso: «Scrivere favole, laddove la fantasia me lo consente, è la derivazione di un grande affetto verso i miei nipoti, che mi fa piacere intrattenerli con alcuni racconti. Quanto detto non è altro che la molla che a volte riesce a mettere in moto la fantasia, generando racconti che il più delle volte hanno un contenuto etico, ritenendolo importante, soprattutto quando ci si rivolge alle giovani generazioni, incanalare la loro educazione nella condivisione dei veri valori» (p. 136).
Nel libro insiste una straordinaria iconografia, che rende il volume prezioso anche per la scelta fatta dall’autore. Oltre al tempio di Aphaia (bellissima l’immagine di p. 79) e alcune altre immagini di Aegina, mi piace citare: il presumibile volto di Eracle (p. 26), il monte Olimpo «dove dimorano ancora gli Dèi della mitologia greca» (p. 42), le prime dracme coniate ad Aegina (p. 48), il piatto “Il duello tra Achille e Ettore” (p. 69, uno dei due piatti di proprietà di Maritati ricevuti in eredità dalla sua nonna greca), la vetrina degli elmi mirmidoni (p. 89), la cosiddetta “Maschera di Agamennone” (p. 96), l’ovale di “Achille morente, Gliptoteca di Monaco”, il “Gatto” Achille (p. 114), il secondo piatto “Ulisse e le sirene” (p. 131), il busto di Omero (p. 138).
Questo è quanto. Ed io gioisco.