Riaffiora lo spettro della Grexit: quando la Germania perde il pelo ma non il vizio
Ad esaminare alcuni eventi, soprattutto nel modo come questi si sono presentati sul mercato della finanza, per poi rincorrersi, si ha il sospetto che alcuni burattinai in giro per il mondo continuino a giocare sulla pelle e il futuro di intere popolazioni.
Ciò che sta accendo, e soprattutto quello che è già accaduto, pare non abbia ancora insegnato nulla alla classe politica, non solo italiana, che a quanto pare è in buona compagnia con altri stati, pertanto si ha il sospetto che il quadro economico, politico e sociale in cui versa il mondo d’oggi, altro non è che un sistematico progetto strategico che è frutto solo di eccentrici egoismi che non trovano alcuna giustificazione.
Gridare ai quattro venti di voler uscire dall’Europa e dall’Euro, come ha fatto ieri la Le Pen, favorita (al momento) alla presidenza dei galli, in un contesto internazionale, soprattutto dopo la Brexit e la nomina di Trump al soglio pontificio americano, è immensamente turbativo, in quanto, ci piaccia o no produce ulteriore disaffezione politica ed economica a quel poco che di Europa ci resta.
La disaffezione elettorale è oramai nota, visto l’andamento delle ultime consultazioni elettorali che hanno visto premiare la rabbia della gente contro i poteri in carica. Una rabbia condivisibile, visto le scellerate e demenziali politiche poste in essere dalla troika, fondate essenzialmente su alcune formule di matematica finanziaria, dimenticando, o peggio ancora mettendo su un secondo piano la dignità della gente.
La mia visione in merito è che, se pur vero è che negli anni passati sono stati commessi enormi errori in politica finanziaria, è altrettanto vero che i rimedi adottati sono risultati peggiori dei mali che avrebbero dovuto curare. La stabilità economica di un intero popolo non lo si valuta solo ed esclusivamente se è aderente a dei vincoli di rigore economico, ma dal suo assetto sociale.
La cavia per antonomasia della subdola terapia del rigore dettata dalla troika è stata e continua ad essere la Grecia. Sono quasi 10 anni che la finanza mondiale è alle prese con il debito pubblico ellenico. Già l’aspetto temporale la dice lunga sull’incapacità dei gestori della finanza mondiale a risolvere il problema di uno stato di appena 11 milioni di abitanti con un debito pubblico poco sotto i 300 miliardi. Solo il sistema bancario italiano pare abbia maturato da solo un monte sofferenze (crediti inesigibili) per circa 300 miliardi.
Dopo 10 anni Tsipras è ancora in lotta contro la troika perché la Grecia, grazie anche alla deficiente politica del rigore, non riesce nemmeno ad onorare gli interessi sul suo debito. Già 6 anni fa scrissi che era da cocciuti pretendere il rimborso del debito pubblico ellenico, e che le continue richieste di restrizione del bilancio avrebbero procurato ulteriore impoverimento, cosa che si è puntualmente verificata. Da qualche mese il Fondo Monetario ha consigliato la revisione del debito pubblico ellenico, ovvero un suo taglio, constatata finalmente l’incapacità ad onorarlo e soprattutto elemento zavorrante di una agognata ripresa dell’economia. Paradossalmente il primo oppositore al taglio del debito greco è la Germania. Se qualcuno ha letto i miei precedenti articoli, o qualche mio libro, ricorderà che ho sempre avuto poca fiducia nell’altruismo tedesco, asserendo che trattasi del solito lupo che perde il pelo ma non il vizio e nella circostanza, scusate se sono pesante, l’accostamento con il lupo potrebbe risultare offensivo proprio per il lupo.
Vi spiego il perché di questa mia affermazione poco lusinghiera nei confronti della Germania, rinfrescando la memoria che a volte risulta per becero opportunismo alquanto corta.
Quanto anzidetto giusto per ricordare e sottolineare che alla Germania, per ben due volte sono stati condonati dal dopo guerra i suoi debiti.
Con il trattato di Londra iniziato il 27 febbraio del 1953 e conclusosi il 24 agosto, tra la Repubblica federale di Germania, da una parte e Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d'America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia, dall’altra, le fu accordato un condono del 50% dei debiti sin allora contratti e per i restanti 30 miliardi di marchi, le fu accordato di rimandare il pagamento a dopo un’eventuale riunificazione. Ferma fu l’opposizione della Grecia, ma nulla potette contro l’intransigenza della politica estera americana. Nel 1990 alla riunificazione delle due Germanie il cancelliere Kohl si oppose a rinegoziare il debito, di cui dicevamo prima, in quanto avrebbe questo, ostacolato il processo di riunificazione e condotto la Germania a sicuro Default. Ancora una volta la Grecia s’oppose fermamente ma la sua voce rimase inascoltata. Senza lo sconsiderato abbuono dei debiti, la Germania oggi sarebbe in brache di tela per almeno altri cinquant’anni. Non ci sarebbe stata la forte crescita del secondo dopoguerra dell’economia tedesca, né Berlino sarebbe potuta entrare nella Banca Mondiale, nel Fondo Monetario Internazionale e nell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Oggi di tutto ciò alla Germania, dalla memoria corta, non gliene frega nulla.
Ecco uno motivi per cui questa Europa sta vacillando, dove la maggior parte dei popoli non vedono più in questa unione la realizzazione degli ideali di condivisa solidarietà e di vera unione tra le genti. L’egoismo nazionalista ha ripreso i suoi spazi con preoccupante timore, facendo ideologicamente innalzare e rafforzare le barriere frontaliere. Il tutto scientificamente pilotato dalle lobbie della finanza che nella disunione e nella confusione, soprattutto tra gli stati membri dell’Unione Europea ci sguazza.
La cosa peggiore, quella che più di tutte oggi fa paura è constatare che quello che inizialmente sembrava un problema squisitamente italiano, cioè la carenza di una solida e preparata classe politica, si sta rivelando un serio ostacolo per tutta l’Europa. Sul palcoscenico europeo pare che non ci siano autorevoli figure che possano indirizzare le politiche economiche e sociali nell’alveo della crescita del sentimento di adesione all’UE, anzi al contrario, remarci contro è diventato lo sport preferito.
La Grecia oggi potrebbe rappresentare il punto di ripartenza per una vera e consolidata unione europea, se si mettessero da parte gli egoismo nazionalistici e si avesse il coraggio di ragionare in termini di socialità e non pensando solo all’applicazioni di aride formule di matematica finanziaria.
E’ una utopia? Io mi auguro, anzi auguriamoci di no.