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Il passatempo della Finanza: acquistare debito pubblico

E’ oramai arcinoto che le grandi multinazionali ogni giorno raggranellano centinaia di miliardi di utili che altro non sono che denaro contante sa loro disposizione per fare il brutto e bel tempo laddove loro aggrada. Particolare questo spesso inseguito dai più smidollati governanti alla ricerca di liquidità, non tanto per favorire le politiche sociali del paese da loro governato, quanto per rafforzare il loro potere.

Ecco questi colossi da quando in qua tra i loro più disparati interessi hanno annoverato anche l’acquisto di quote di debito pubblico, soprattutto di quei paesi più economicamente disastrati. Un hobby questo alquanto preoccupante in quanto, come avrete già intuito, il potere su uno stato è proporzionalmente più forte quanto più il proprio debito pubblico, rappresentato dai titoli di stato, è in mano proprie, nazionali, e non invece in giro per il mondo.

Con l’acquisto sistematico di debito pubblico per centinaia di miliardi di dollari, questi colossi possono porre in essere dei ricatti alle politiche governative. Una repentina immissione sui mercati finanziari di ingenti quantità di debito pubblico di uno stato, provocherebbe una crisi sistemica, in quanto crollerebbero le quotazione dei bond pubblici, dove l’unico rimedio che i relativi governi possono porre in essere è elevare i tassi d’interesse, con le conseguenze di generare un circolo dannoso per l’intera economia. Noi ne abbiamo avuto un esempio abbastanza emblematico nel corso del 2011, quando si scatenò sull’Italia la tempesta finanziaria che portò lo spread a superare i 560 punti, defenestrando il governo Berlusconi, per lasciare il posto ad un governo tecnico che in solo due anni ha fatto più danni lui, che la seconda guerra mondiale. Basta andare a leggere i dati ufficiali della nostra economia per rendersi agevolmente conto che ci sono state raccontate un po’ di balle spaziali. Sottolineo con orgoglio di essere uno che ha sempre detestato Berlusconi, ma detestare un politico, non significare non saper poi leggere con serena obiettività i dati macro e microeconomici di quel periodo, migliori di quelli odierni, giusto per obiettiva valutazione economica.