L’accordo tra gli Emirati Arabi e Israele: altro che tassello di pace
Israele e gli Emirati Arabi[1] Uniti hanno trovato un punto d’incontro. Israele s’impegna peraltro a non estendere le sue colonie in Cisgiordania. Il mondo occidentale, Italia compresa (che come al solito di politica estera è sempre è stata il fanalino di coda) plaude a questo accordo, voluto da Trump, che essendo in caduta libera nei sondaggi, non sa più dove andare a cercare consensi.
Che l’Egitto, l’Oman, il Bahrein siano favorevoli all’accordo è un dato di fatto derivante dagli ingenti aiuti a fondo perduto che arrivano dagli USA. L’Egitto in particolare sono decenni che gode di una corsia preferenziale statunitense, motivo per cui non capisco perché, per il caso Regeni, la Farnesina non abbia tirato in gioco Washington. La politica estera è una cosa molto seria, non si possono avere ministri degli esteri, come in questi ultimi trent’anni la cui provenienza e livello culturale/politico sia alquanto discutibile.
Tornando all’accordo stipulato, non penso sia errato definirlo un accordo a tempo: vedremo l’effetto che farà e poi ne riparleremo. Nel contempo, mentre da una parte aiuta la campagna elettorale di Trump, dall’altra si ostacola il processo di riconoscere la Palestina quale stato indipendente con capitale Gerusalemme.
Arabia Saudita, Iran e Turchia si sono immediatamente dichiarati contrari, reputando l’accordo dannoso per un equilibrio pacifico. Intanto in Cisgiordania le gente è scesa a protestare contro proprio gli Emirati Arabi definendoli traditori e i palestinesi hanno ripreso a lanciare i palloncini incendiari ricevendo l’immediata risposta armata da Tela Aviv. Questo nuovo accordo un effetto positivo lo sta ottenendo, dimostrando la scelleratezza della politica estera americana e dell’inconsistenza di quella europea, favorendo una unione tra le fazioni palestinesi, che spesso hanno dimostrato di non essere proprio in sintonia e che su questo accordo tra Israele ed Emirati Uniti, benedetto dagli USA, sta favorendo con una forte accelerata.
Il movimento islamico di Hamas, guidato da Ismail Haniyeh, ha teso la mano all’Autorità Nazionale Palestinese e dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Nella persona del suo presidente Abu Mazen, dicendosi, nel corso di una telefonata, anche’esso contrario all’intesa e pronto “ad azioni congiunte”. Haniyeh, secondo quanto riferisce l’agenzia Wafa, ha spiegato che “Hamas ha deciso di unirsi ad Abu Mazen nella lotta per costruire uno Stato palestinese sovrano con Gerusalemme capitale e di respingere ogni accordo unilaterale che ha come obiettivo di liquidare gli inalienabili diritti del popolo palestinese”.
Se a tutto ciò ci innestiamo le non più latenti simpatie cinesi a favore della Palestina, ci si rende conto che l’accordo raggiunto è solo qualcosa che serve a Trump, o meglio che lui ipotizza possa dargli una mano nelle imminenti consultazioni presidenziali, che lo vedono in netto svantaggio. Alcuni commentatori politici hanno definito l’accordo una cosa positiva, e in merito al diniego di Turchia, Arabia Saudita e Iran se ne escono con la solita solfa che questi stati hanno appoggiato il terrorismo, e pertanto non dovrebbero avere voce in capitolo. Se la politica estera, che dovrebbe essere svolta a favore della ricerca di nuovi scenari di pace, prendesse quale riferimento quanto detto da costoro, un conflitto nell’area mediorientale è quanto meno ipotizzabili nel medio periodo. Se poi come si vocifera che la Cina stia aiutando l’Arabia Saudita nel nucleare, io quattro conti me li farei.
Trump in questi quattro anni, in politica estera, di errori ne ha fatti non pochi. Non possiamo non ricordare l’uscita dall’accordo nucleare con l’Iran sottoscritto da Obama. Una pagina che la storia ricorderà come quel solito elefante che entrato in una cristalleria produce un sacco di danni. Bisognerà comunque per par conditio dire che la politica estera americana non è stata quasi mai orientata ad esportare la pace, come ancora qualcuno pensa che abbia fatto in passato, ha solo avuto interesse ad esportare armi ed egemonia economica, a qualsiasi costo e Trump ne è stato un ottimo fautore. La storia americana in campagne scellerate penso possa fare da maestra al mondo intero.
[1] Esso è composto da sette emirati: Abu Dhabi, Ajman, Dubai, Fujaira, Ras al-Khaima, Sharja e Umm al-Qaywayn